Abbiamo chiacchierato con Luciano Ponzi e scoperto quanto la tecnologia pesi nell’investigazione privata.

Da Sherlock Holmes al detective Marlowe, fino agli impareggiabili Sam & Max, la figura dell’investigatore privato segue certi canoni quando ce lo immaginiamo. Una figura sfuggente, possibilmente avvolta dal fumo delle sigarette, pronto a pedinamenti, appostamenti, ed eventualmente interrogatori non proprio ortodossi quando l’intuito e la deduzione non bastano.

I tempi però cambiano, e anche questo lavoro ha perso da tempo l’aspetto da romanzo noir anni ’50 che pure è radicato nella nostra fantasia. Sono finiti i tempi di Poirot e anche quelli della signora Fletcher, e se è per quello anche quelli di Tom Ponzi, famoso fondatore di un’agenzia investigativa tra le più famose in Italia.

Ne abbiamo parlato con suo nipote Luciano, che dal 1995 dirige l’agenzia fondata dal padre Vittorio nel 1958. E così abbiamo scoperto cosa significa fare l’investigatore privato oggi, tra GPS, smartphone, social network, leggi sulla privacy e dreni.

Nel 2010 un decreto ministeriale cambiò profondamente questa professione, proibendo al detective di avere la sede dell’agenzia presso la propria abitazione o presso un ufficio legale. In questo modo si ridusse molto la concorrenza, lasciando spazio ai professionisti e limitando quello degli amatori – spesso ex-appartenenti alle forze dell’ordine che sfruttano la propria esperienza per arrotondare.

Non per questo però si tratta di un settore facile. Luciano Ponzi spiega che le licenze emesse prima restano tante e ancora valide, e poi resta un diffuso dilettantismo. In ogni caso il lavoro, a quanto ci dice il nostro intervistato, non manca: si indaga ancora su mariti e mogli che tradiscono, certo, ma non è certo quello che sostiene l’attività.

“Attualmente il nostro core business è aziendale: 60/70% contro 30/40% privato. Nel privato, un buon 25%-30% è ancora infedeltà coniugale”, per quanto ormai i giudici tendano a derubricare l’illecito, se non è la causa diretta della separazione l’infedeltà è trascurata. “Ormai è così frequente che i giudici non stabiliscono l’addebito semplicemente per quello”.

“Il privato spesso chiede protezione del patrimonio ereditario o familiare, difesa rispetto al gioco compulsivo. Ci sono anche tantissimi minorenni che riescono ad accedere al gioco, sia online che nelle poker room: è un problema molto grosso. E poi c’è quello delle sostanze stupefacenti: la prevenzione, ma spesso si arriva tardi quando il genitore ci chiama perché nota comportamenti insoliti nei figli. Poi ci sono le persone scomparse”.

Insomma i clienti comuni hanno tante richieste da fare a un investigatore privato, ma è con le aziende che si trovano forse i casi più interessanti.

“L’azienda, finalmente anche in Italia, comincia a cercare l’investigatore privato. Prima dell’incontro chiedono informazioni su potenziali soci, collaboratori o clienti (sono le due diligence). All’estero è usuale, mentre in Italia ci si affida solo alle banche dati offerte da fornitori quali CERVED o LINCE”. Rispetto a questi “noi possiamo fare indagini più approfondite. In Italia questo è meno consueto, ma si è iniziato a farlo – con la solita lentezza”.

“Dopodiché le aziende ci chiedono d’indagare sull’infedeltà dei dipendenti”, come quelli del controllo qualità. Luciano Ponzi a questo proposito ci racconta un aneddoto curioso: un addetto alla qualità scartava regolarmente molti prodotti, e così l’amministrazione si insospettì. L’indagine fece emergere che l’uomo aveva un vero e proprio magazzino e che aveva creato una rete di vendita parallela – e ovviamente piuttosto redditizia.

Altre volte i lavoratori infedeli sono i dirigenti stessi, che magari sottraggono dall’azienda informazioni importantissime e le usano per creare una società concorrente. Insomma si parla di vero e proprio spionaggio industriale.

Come si affrontano oggi queste indagini, e com’è cambiato il lavoro con l’evoluzione della tecnologia?

“La tecnologia ha modificato abitudini, usi e costumi anche nell’infedeltà di coppia”, afferma Luciano Ponzi spiegandoci che prima di tutto siamo noi a essere cambiati. Oggi non c’è solo la classica “scappatella”, ma anche vere e proprie relazioni online, che a volte nemmeno arrivano al rapporto fisico.

In un’occasione, per esempio, c’è stata una donna che ha imbastito una relazione online con un uomo. Innamorata perdutamente decide d’incontrarlo, solo per scoprire che si tratta di un dodicenne, come nel film Viol@ (D. Maiorca, 1998). Un bel trauma, che magari si sarebbe potuto evitare raccogliendo le informazioni giuste.

E se la tecnologia ha cambiato le persone e il loro modo di comportarsi, deve cambiare anche l’investigatore.
cravatta con microcamera per investigatori Ponzi

“Sono legato affettivamente al gettone telefonico”, ricorda Ponzi con nostalgia, “era al cuore della nostra attività, perché non avevamo il ponte radio né il cellulare, fino all’inizio degli anni ’90. Prima gli agenti, se perdevano il contatto, dovevano telefonare da una cabina. La prima cosa che facevamo era verificare dove fossero le cabine. Quindi per noi il cellulare fu una rivoluzione”.

“La seconda cosa che ha rivoluzionato il lavoro è il computer, e soprattutto la Rete. Internet è un calderone che oggi ci permette di ricavare le prime informazioni. La prima cosa da fare è verificare tutti i contatti di una persona. Se si ottiene l’amicizia (sui social network, NdR) della persona è più semplice, ma già guardando il profilo pubblico si può sapere molto”.

Insomma il primo passo dell’indagine su qualcuno è mettersi di fronte a uno schermo, e probabilmente cercarne il nome su Google, Facebook, Twitter e così via. Con un po’ di attenzione e di esperienza si può scoprire moltissimo su una persona senza muoversi dall’ufficio, e senza particolari preoccupazioni legali. “Nel 90% dei casi troviamo subito amicizie, fotografie e tutto quello che ci serve per le indagini”.

La maggior parte dei lettori di Tom’s Hardware sa bene che è possibile installare su un computer o su uno smartphone programmi per tracciare tutte le attività di chi usa la macchina. Naturalmente possono farlo anche gli investigatori, che ovviamente sono tenuti a rispettare le leggi sul tema.

“Non possiamo controllare la posta per esempio, né un PC – a meno che si tratti di un minorenne. Se c’è l’autorizzazione del genitore è legale, con prodotti come per esempio Web Watcher, ma anche Norton Security di Symantec fa le stesse cose. Nel 90% dei casi lo facciamo solo avendo il PC sottomano, perché l’installazione a distanza non è mai semplice e coinvolge persone che non rispettano certe regole”.

Insomma non installate virus sui dispositivi delle persone?

“Secondo me l’uso dei virus non è legale, e ti mette nel mirino della polizia postale. Per quanto mi riguarda non è deontologicamente e professionalmente corretto, quindi lo facciamo solo quando ci portano il computer qui da noi, o ci rechiamo noi presso la residenza”.

Insomma se una madre indaga sul figlio minorenne è possibile prendersi alcune libertà in più, ma questo tipo di sorveglianza non si può fare invece se il marito sospettoso si presenta con il computer o lo smartphone della moglie.

“Non si può violare la privacy del coniuge, e c’è un solo buco legislativo”, dice Ponzi, “nell’abitacolo dell’autovettura si può mettere un registratore audio, che solitamente mette il coniuge. La legge non vieta quest’azione, e ci sono sentenze che hanno assolto chi lo ha fatto, perché l’abitacolo non è equiparato a dimora privata”.

visore notturno per investigatori

Considerata la situazione e le notizie che da anni ci dicono quanto la privacy personale sia fragile, verrebbe da pensare che in generale tutti siano abbastanza attenti. E invece le persone sono “totalmente disattente, a meno che non abbiano un precedente negativo. Per esempio abbiamo visto mariti che proibivano alla moglie di usare Facebook, mentre loro avevano un account con sopra di tutto e di più”.

Insomma, chi ritiene di poter essere oggetto di spionaggio o indagine vera e propria, e chi vuole tutelare la propria privacy nel migliore dei modi dovrebbe assicurarsi di lasciare meno tracce possibili. Ci si può spingere a usare strumenti avanzati come Tor, ma sarebbe già molto evitare di usare social network e simili. Per il telefono, installare meno applicazioni possibili è un’ottima idea, e fidarsi il meno possibile di quelle installate. “Per stare più al sicuro è meglio usare un telefono di quelli da 30 euro, senza possibilità d’installare app”, ci dice poi Luciano Ponzi.

“Un’altra cosa che ha cambiato la nostra attività è il controllo satellitare”, continua Ponzi, “il dispositivo da attaccare sotto l’auto. A ogni indagine, se possibile, lo installiamo e lo usiamo perché rende il pedinamento molto più semplice”.

Il dispositivo, la cui batteria dura da uno a due mesi, si aggancia ad almeno tre satelliti e si localizza tramite una scheda GSM. Sostanzialmente manda degli SMS (ogni 10-20 secondi) con la propria posizione, che poi è elaborata da un software dedicato. “Usiamo un tablet che può identificare l’obiettivo facilmente sullo schermo da 10 pollici. Ci sono anche altri sistemi”.Ecco, in questo caso siamo proprio di fronte alla stessa cosa che abbiamo visto decine di volte al cinema e in TV: si attacca il “baracchino” sotto all’auto e si può seguirne la posizione su una mappa, con un tablet o un PC.

Questo dispositivo non rende solo più facile seguire un sospetto, ma ha anche un effetto benefico sui costi. Se vent’anni fa servivano sei squadre per un pedinamento, infatti, oggi bastano una o due persone. “La crescita tecnologica ci aiutato tanto che abbiamo potuto tenere le tariffe degli anni ’90”, perché si riducono i costi.

Il GPS comunque non è certo l’unico strumento a disposizione di Luciano Ponzi e dei suoi uomini, e nemmeno il più avanzato. “Oggi usiamo talvolta l’elicottero, e stiamo partendo con i droni. Un nostro tecnico ne sta collaudando uno, che dovrebbe essere pronto a breve con le telecamere che ci servono”.

Non si parla ovviamente dei semplici droni che ognuno di noi può comprare per qualche centinaio di euro, ma di sofisticati dispositivi che costano tra i trenta e i quarantamila euro.

“Volano anche a qualche miglio di altezza”, spiega Ponzi, e possono comunque generare immagini utili nell’indagine. Si usano ad esempio per il controllo della raccolta illegale di materiali, come per esempio quelli che si trovano presso i fiumi, e in generale nell’ambito ecologico o per seguire l’indagato in zone impervie.

“Una volta fatto l’investimento sul drone è come con le attrezzature per le bonifiche telefoniche per le aziende. Possono costare molte migliaia di euro (oscor), ma anche un drone da trenta o quarantamila euro si ammortizza abbastanza facilmente senza alzare le tariffe”.

Se gestire concorrenti agguerriti fa parte del gioco, non si può dire lo stesso dei numerosi investigatori improvvisati che ormai si trovano un po’ dappertutto. Tutti, ci ricorda Luciano Ponzi, hanno un qualche amico o un “amico di un amico” che sa fare una certa cosa, come mettere dello spyware su un PC o piazzare una microspia da qualche parte.

È bene sottolineare che qualsiasi azione del genere è apertamente illegale, in alcuni casi persino per gli investigatori stessi. Molti negozi vendono online dispositivi “da spia” di ogni tipo e per ogni tasca, “compresi telefoni clonati e i software per controllare lo smartphone degli altri. Non è possibile clonare la SIM, ma si può installare del malware sul telefono. Comprare e usare questi dispositivi è illegale da parte di privati”, spiega Ponzi.

“Io mi sono sempre stupito per il proliferare di questi Spy shop, che avviene senza interventi da parte delle autorità. Se la cavano con un semplice avviso, perché l’oggetto in sé si può vendere. Dovrebbero informare il cliente sul possibile uso dell’attrezzatura, cosa che secondo me non avviene, e poi far firmare una liberatoria se sono furbi”, commenta poi l’investigatore.

Il risultato è “un proliferare di abusivismo da parte di molti amatori che rischiano il penale, e che spesso vengono da noi perché si sono fatti beccare”.

In chiusura vale la pena ricordare che in Italia e altrove esistono leggi precise per quanto riguarda la privacy dei cittadini. “Come investigatori siamo anche noi nell’occhio del ciclone quando si parla di privacy, ma è giusto così. Io sono per le regole: se tutti le rispettassero non ci sarebbe l’amico del giaguaro che passa le informazioni all’investigatore. Invece c’è quello che riesce ad avere tutto, quello che non riesce ad avere niente, e c’è una sorta di concorrenza sleale perché c’è quello che riesce a farsi fare il favore dall’amico”.

Questo significa che alcuni forzano le regole, o le violano apertamente per arrivare dove altri non possono. Ad esempio in Italia non è possibile, ufficialmente, visionare la dichiarazione dei redditi di un privato – ma in altri paesi sì, citando il numero del caso.

Oltre a quanto detto nelle pagine precedenti, Luciano Ponzi suggerisce a tutti di “non diventare paranoici come alcuni che vengono da me. È inutile diventare maniaci del controllo, non si vive bene. Agli utenti privati consiglio innanzitutto di esporsi il meno possibile: io non ho un profilo Facebook personale né uno aziendale”, che pure aiuterebbe a trovare nuovi clienti, “non che abbia niente da nascondere, ma la mia vita privata è privata. Lo dico pur essendo conscio che con il telefono, il telepass o la carta di credito siamo monitorati e controllati in ogni momento”.

“Contro gli spioni illegali o abusivi non bisogna esporre il fianco; il problema del furto d’identità è più sentito in Usa che da noi, ma anche qui ci sono hacker che ci mettono molto poco a rubare informazioni”. Bastano poche buone abitudini a stare tranquilli, come distruggere la posta cartacea prima di buttarla, o non cliccare mai su link in posta elettronica anche se i messaggi che li contengono sembrano affidabili.

I più determinati a difendere la riservatezza delle proprie comunicazioni possono comunque scegliere i migliori strumenti crittografici disponibili, come per esempio il Blackphone presentato di recente. Seguire questa strada mette ben al riparo da occhi indiscreti, ma è bene comprendere che non ci si guadagna così una protezione totale anche dalla sorveglianza da parte delle Forze dell’Ordine.

La nostra legge infatti ammette che, se c’è l’ordine di un giudice, ogni comunicazione dev’essere esaminabile. Siamo di fronte quindi a un’ambiguità legale con le comunicazioni crittografate, che in linea di massima non sono “scardinabili” a meno d’investimenti di risorse enormi.

Ecco perché Luciano Ponzi sottolinea che “non c’è il diritto alla riservatezza delle comunicazioni in Italia, tu devi essere controllabile. Non c’è la libertà che hanno negli USA, dove ti puoi prendere una SIM non intestata senza documenti”. Siamo ovviamente liberi di usare un Blackphone o un BlackBerry blindato da 2.700 euro, che di certo rendono tutte le nostre comunicazioni molto più sicure. Ma è una scelta da fare con la consapevolezza che non ci sono garanzie assolute.

Insomma è bene ricordarsi sempre che nulla è assolutamente sicuro, nemmeno quello che viene pubblicizzato come tale. Quanto al lavoro di Luciano Ponzi, ladri di eredità e spie aziendali potrebbero trarre vantaggio da qualche buona pratica, ma la realtà è che “i casi più difficili sono curiosamente quelli di infedeltà coniugale. Sono meno accorti i ladri, chi fa appropriazione indebita che non il fedifrago che spesso adotta cautele. Vedono film che insegnano come depistare o come guardare lo specchietto. Online si trovano le regole per non farsi beccare e altro”.

Ecco, generalmente stiamo molto più attenti a non farci beccare nel letto di qualcun altro piuttosto che a non finire sotto processo per qualcosa di molto più grave. Lasciamo al lettore il piacere di trarre le conclusioni sulla natura umana.

01 aprile 2014 – tomshw.it – di Valerio Porcu

Puoi leggere l’articolo anche al seguente link: l’investigatore privato ai tempi di Facebook

 

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