Detective e agenzie investigative ingaggiati dalle aziende possono controllare di nascosto i lavoratori assenti. Anche quelli in malattia.

Allergico al posto di lavoro? Si sappia che le troppe assenze possono essere controllate non solo da spie interne all’azienda o da colleghi troppo pettegoli ma anche dai colleghi nostrani di Monk, Jessica Fletcher o, addirittura, Sherlock Holmes. In sostanza, gli assenteisti, soprattutto se recidivi, possono essere licenziati anche se beccati da un investigatore privato.

Così si è pronunciata la Cassazione (pur senza citare gli investigatori televisivi) con una recente sentenza in cui dichiara legittimo il licenziamento di un lavoratore addetto ai controlli sanitari della ristorazione servita in stazione e sui treni per le sue reiterate assenze dal posto di lavoro [1].

La Suprema Corte non era stata chiamata a pronunciarsi sul fatto che il lavoratore fosse legittimato a uscire dal lavoro ed a rientrare quando gli faceva comodo, ma sul fatto che quegli spostamenti casa-lavoro (casa tanta, lavoro un po’ meno) venissero controllati da un’agenzia investigativa e che il rapporto che i detective trasmettevano all’azienda fossero in grado di determinare il suo licenziamento.

E la Cassazione ha detto di sì: ha detto che gli assenteisti possono essere licenziati anche se beccati da un investigatore. Non ci vuole il capo del personale o una persona interna all’azienda, delegata dal datore di lavoro, per certificare che un dipendente sta facendo il furbo e non rispetta i propri orari ed i propri impegni. Vale anche la testimonianza di un investigatore, appostato di nascosto, non per forza seduto in macchina con sandwich e bicchiere di caffè. Per i giudici, quello che conta – per dirlo in modo estremamente semplice -, non è chi ha riferito all’azienda delle sue assenze ma il fatto che le assenze stesse ci siano state, cioè il fatto storico oggetto del dibattimento. In sostanza: se dico che mi ha beccato un investigatore a fare qualcosa è perché qualcosa ho fatto. Aggrapparsi a chi aveva il binocolo in mano è superfluo. Chiaro, no?

Investigatori anche per le assenze per malattia

In realtà, la Cassazione si era già pronunciata su un altro tipo di assenteisti controllati da investigatori privati: quelli che hanno il vizio di dichiararsi in malattia per sdraiarsi in riva al mare anziché sotto le coperte con accanto un cocktail anziché la tachipirina. La Corte [2] ha confermato che l’azienda può effettuare un controllo del lavoratore, anche di nascosto, durante l’assenza per malattia senza ricorrere alle visite fiscali dell’Inps, bensì ad un investigatore privato. Nello specifico, si trattava di un magazziniere che aveva dichiarato di accusare una forte lombosciatalgia acuta. Il suo datore di lavoro (chissà perché) aveva mangiato la foglia ed ingaggiato un detective. Il quale aveva scoperto che il dipendente, durante il periodo di malattia, caricava sulla propria auto delle pesanti bombole di gas, cambiava le ruote della macchina o prendeva in braccio la figlia. Cose che con una lombosciatalgia acuta sarebbe stato piuttosto improbabile. Come competere con Usai Bolt il giorno dopo essere stati operati al menisco.

Ovviamente, il lavoratore era stato licenziato per giusta causa. Ma, non contento, aveva contestato il fatto che l’azienda si fosse rivolta ad un’agenzia investigativa per fare dei controlli di nascosto. La Cassazione, invece, ha legittimato il licenziamento confermando (oltre al fatto che il lavoratore aveva barato) che un datore di lavoro può controllare il proprio dipendente durante il periodo di malattia come gli pare, anche ricorrendo ad un investigatore, pur di accertare che il certificato medico presentato corrisponda al vero.

Infatti – insiste la Suprema Corte – «gli accertamenti di carattere sanitario possono essere contestati anche valorizzando ogni circostanza di fatto – pur non risultante da un accertamento sanitario – atta a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa, e quindi a giustificare l’assenza» [3].

Licenziati per giusta causa: la mancanza di fiducia

C’è di più. Uno degli elementi su cui si basa il licenziamento per giusta causa è il venire meno dei presupposti per continuare un rapporto di lavoro. In altre parole, la mancanza di fiducia. Se mi dici che sei malato e ti trovo a giocare la partitella di calcio a 5 con gli amici, non ha importanza se sei beccato da un investigatore privato o dalla fidanzata del figlio del titolare che poi ha riferito tutto. Quello che conta è che hai mentito all’azienda. La quale, per ovvi motivi, non sarà più in grado di fidarsi di quel dipendente.

A tal proposito, la Cassazione precisa che «per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva del medesimo, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale e, dall’altro, la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare ». Chiaro, no? Se non lo fosse, ecco la sintesi della stessa Suprema Corte: «Il licenziamento per giusta causa è legittimo in quanto sono state riscontrate mala fede e slealtà nei confronti del datore di lavoro, e sono quindi presenti gli estremi di una mancanza tanto grave da incidere in maniera diretta sul rapporto fiduciario, così da impedire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro ». Più chiaro di così…

24 febbraio 2017 – laleggepertutti.it – di Carlos Arija Garcia

Puoi leggere l’articolo al seguente link:

Assenteista dal lavoro licenziato anche se scoperto da investigatore

 

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