Non è raro che un’azienda sia vittima di comportamenti sleali posti in essere da un’impresa in concorrenza o addirittura dai suoi stessi collaboratori.

Per di più, in un momento come quello attuale, caratterizzato dall’emergenza Covid-19 e nel quale le dinamiche aziendali instaurate con i dipendenti in presenza sono completamente cambiate, mantenere alto il controllo degli avvenimenti interni all’impresa diventa ancora più difficile.

Al primo sospetto di infedeltà aziendale, dunque, è importante avviare tempestivamente opportune indagini volte a scoprire e a documentare l’illecito, creando un dossier di prove dettagliate, da utilizzare nel caso in cui si decida di avviare un’azione legale.

Concorrenza sleale e sviamento della clientela: definizione e comparazione delle due figure di illecito

Si ha un rapporto di concorrenza quando due imprenditori svolgono un’attività di mercato offrendo prodotti o servizi (anche di diversa qualità), che tendono a soddisfare gli stessi bisogni ( o bisogni simili ) dei consumatori.
Poiché entrambi i soggetti si rivolgono allo stesso pubblico, se la concorrenza che si instaura tra loro viene condotta con mezzi illeciti, sarà definita “sleale” e può condurre ad un reciproco storno di clientela.

Nello specifico, la fattispecie illecita di “sviamento della clientela” si collega e si accompagna ai comportamenti di “concorrenza sleale”, ma configura un aspetto diverso e peculiare di quest’ultima, in quanto può essere realizzata, oltre che da un competitor, anche da un soggetto interno all’impresa.
Il caso di scuola è quello dell’ex dipendente che, utilizzando e sfruttando il know how acquisito durante il precedente rapporto di lavoro, sottrae clienti all’azienda per cui ha lavorato, arrecandole un danno.
Nella situazione attuale, poi, con la diffusione del lavoro agile a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19, il rischio che questi comportamenti scorretti dei collaboratori siano ancor più frequenti è davvero molto alto, essendo più facile porre in essere eventuali maneggi ai danni del datore di lavoro e tenerlo all’oscuro delle cattive intenzioni.

Rimedi per gli atti di concorrenza sleale e provvedimenti sanzionatori

La concorrenza è “genuina” fino al momento in cui l’uso esclusivo dei diritti acquisiti da un imprenditore (come i segni distintivi dei suoi prodotti e servizi o i diritti di proprietà industriale), non subisce una illecita sottrazione da parte di un altro imprenditore: in questo caso si concretizza la concorrenza “sleale”, stigmatizzata e sanzionata dal legislatore con mezzi diversi, il più incisivo dei quali è l’azione inibitoria nei confronti di chi pone in essere il comportamento scorretto.

La relativa sentenza del Giudice ordinario ha natura di provvedimento cautelare e mira ad eliminare il danno provocato all’imprenditore (ad esempio, attraverso il sequestro dei prodotti illecitamente messi in commercio) e può essere accompagnata dalla condanna al risarcimento del danno (ex art. 2600 cod. civile).

Le problematiche legate all’attualità

Specialmente in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, molte aziende, già provate dalle chiusure giustificate dall’emergenza sanitaria da Covid-19, si trovano a dover fare i conti anche con l’insoddisfazione dei dipendenti.
Ma non solo: soci, impiegati, collaboratori di un’impresa, temendo che, una volta finito il blocco dei licenziamenti, possano essere esclusi dall’azienda, cercano “nuovi lidi” su cui approdare e lo fanno anche utilizzando mezzi illeciti.

E l’impresa deve affrontare una simile problematica con l’aggravante di una situazione organizzativa fuori controllo, anche a causa dello smart working: quest’ultima modalità di lavoro, infatti, pur essendo uno strumento formidabile per assicurare una certa continuità operativa, rende meno diretti i contatti con i dipendenti.

Le conseguenze per l’azienda possono essere devastanti: a causa delle defezioni e dell’infedeltà dei collaboratori, potrà perdere la sua forza lavoro e anche il know-how, ritrovandosi con un’efficienza irreparabilmente compromessa.
Per questo, oggi più che mai, è necessario intervenire in maniera immediata per indagare sulla regolarità di svolgimento delle attività aziendali e bisogna farlo servendosi delle competenze di un professionista dell’investigazione.

Riferimenti legislativi

La concorrenza sleale è figlia del mercato libero e rappresenta l’aberrazione di un concetto “sano” di libera concorrenza; si concretizza anche con comportamenti rivolti a sottrarre l’uso esclusivo dei segni distintivi di un’impresa, ingannando il consumatore e creando confusione sul mercato.

La disciplina specifica degli “atti di concorrenza sleale” oggi è contenuta nell’art.2598 del nostro Codice civile. Una prima definizione di tali atti è data dal fatto che essi siano “confusori” e “mendaci”, le fattispecie nelle quali queste due caratteristiche possono essere individuate sono sostanzialmente tre:

• l’imitazione servile, che riguarda la forma del prodotto o del servizio, riprodotti in modo pedissequo dal concorrente soprattutto nella parte visibile (ad esempio, apponendo un marchio o un segno distintivo uguale o simile), in modo tale che le caratteristiche interne non siano riconoscibili e il consumatore sia tratto in inganno;

• la denigrazione, che si attua diffondendo notizie e apprezzamenti che screditano il prodotto o il servizio concorrente (ad esempio, giudizi negativi o divulgazioni mendaci di dati relativi al processo di produzione). Questa fattispecie si configura anche se coinvolge un singolo episodio e può essere realizzata anche attraverso la pubblicità, comparando il proprio prodotto con quello concorrente o esaltando le qualità del proprio;

• l’appropriazione di pregi, che avviene quando un imprenditore attribuisce ai propri prodotti o servizi qualità positive che, invece, caratterizzano i prodotti o i servizi del concorrente.

Tutti gli altri atti rivolti all’alterazione generica della situazione di mercato o a colpire specificamente uno dei concorrenti, che operano sullo stesso settore di mercato, sono previsti dal terzo comma dell’art. 2598, che si occupa di definire il criterio della correttezza professionale nell’esercizio di un’attività imprenditoriale e le conseguenze dannose della sua violazione.

In tutti questi comportamenti illeciti, il denominatore comune è la “confusione”, che viene creata per disorientare il pubblico e dirottare le sue preferenze verso un prodotto o un servizio diverso da quello del concorrente.

Ma, soprattutto, l’elemento discriminante è il “danno”: se l’attività concorrenziale non risulta dannosa, non vi è slealtà. C’è da precisare, comunque, che il danno non deve necessariamente essere effettivo e già concretamente verificato, ma basta che sia anche solo potenziale.

Come individuare il rischio di comportamenti sleali

In linea generale non è semplice per un’azienda rendersi conto di essere vittima di comportamenti definibili nell’ambito della concorrenza sleale, specie se ad attuarli sono elementi interni all’organizzazione dell’impresa.

Oggi, con l’incombere di una situazione di emergenza come quella generata dalla pandemia di Covid-19, accompagnata dalle conseguenze causate alla logistica delle imprese, difendersi dalla concorrenza sleale e riparare al danno da sviamento della clientela è diventato un compito ancora più arduo.
Molte delle dinamiche tipiche aziendali sono state completamente sconvolte: l’adozione dello smart working per molti dipendenti ha reso questi ultimi ancor meno “controllabili”, rispetto ad una loro presenza fisica nell’azienda.
I sospetti relativi a una minaccia per la credibilità o per la corretta gestione dell’impresa possono essere non più così evidenti: un comportamento sospetto del socio, del collaboratore o del dipendente che si dedica al lavoro agile da casa è ancora più difficile da monitorare.

Si può, comunque, sempre fare riferimento ad un criterio “basico”: qualunque variazione comportamentale che si allontani dall’atteggiamento finora tenuto da parte di un soggetto interno all’azienda, deve suonare come un campanello d’allarme.
Qualora uno di questi comportamenti incoerenti si inquadri come “sospetto” e si tema possa condurre a compromettere l’attività imprenditoriale, è opportuno agire immediatamente, svolgendo le necessarie verifiche e affidandosi ad un professionista del settore investigativo, che possiede le competenze e gli strumenti per confermare o fugare ogni dubbio.

Case histories rappresentative della concorrenza sleale

Ma come si concretizza, realmente, un comportamento sleale che provoca un danno patrimoniale o di immagine ad un’azienda, oppure uno sviamento di clientela?

Conosciamo, ad esempio, il caso del capo reparto di una società del settore chimico che, dopo aver rassegnato le dimissioni dall’azienda, ha avviato un’impresa in concorrenza, divenendone il titolare occulto e convincendo anche altri due dipendenti a seguirlo. Durante il periodo in cui lavorava per la prima azienda, l’uomo si recava dai fornitori e dai clienti del suo ex datore di lavoro e aveva acquisito una serie di competenze e conoscenze tali da permettergli di aprire senza problemi una nuova società concorrente.

Un altro caso riguarda il rappresentante monomandatario di uno scatolificio che imputava il calo del fatturato alle difficoltà economiche del momento storico: in realtà, trascorreva metà della sua giornata lavorativa presso gli uffici di un’azienda concorrente.

Ma il caso più tipico (e, purtroppo, non l’unico) è quello del dipendente di un’azienda alimentare in malattia e quindi, ufficialmente, a casa. Invece durante il periodo in cui percepiva l’indennità, lavorava come rappresentante per un’azienda concorrente.
Altri casi famosi hanno lasciato il segno nella storia della concorrenza sleale. Conoscerli può essere interessante, oltre che utile a titolo informativo: per questo, qui di seguito ve ne proponiamo alcuni.

Un’applicazione discussa come sleale e… sviante

Nel 2014, con l’arrivo del servizio offerto da Uber in Italia (partito da Milano e poi diffuso in altre località del territorio), si è innescata un’accesa controversia, caratterizzata dalle proteste dei tassisti, che lamentavano comportamenti inquadrabili nella fattispecie della concorrenza sleale.

La piattaforma digitale, a dire delle società di gestione e servizio di radio taxi (appoggiati dalle organizzazioni sindacali), mirava ad affermare un servizio “low cost”, violando i principi di correttezza professionale e incorrendo nella fattispecie della concorrenza sleale.

Per questi motivi, le suddette società facevano ricorso all’autorità giudiziaria, al fine di ottenere l’interruzione della diffusione e dell’utilizzo dell’app UberPop.

E, in effetti, il Giudice adito ravvisò una sorta di “dumping” nel comportamento di Uber: il fatto che venisse offerto lo stesso servizio di trasporto, a prezzi notevolmente minori, aveva prodotto uno sviamento la clientela, attratta dai costi inferiori, al quale non poteva essere opposta un’azione commerciale difensiva da parte degli operatori di radio taxi, proprio per le condizioni inarrivabili proposte da Uber.

La sentenza concludeva pertanto che, nella predisposizione e utilizzazione dell’app UberPop, si integrasse la fattispecie dell’illecito concorrenziale (Trib. Milano 25/5/2015) e ne ha disposto l’inibizione dell’attività per il prosieguo.

Quando la pubblicità si configura come inganno

Per anni, anche nel nostro Paese, il messaggio pubblicitario è passato come una innocua manipolazione della realtà.
Ebbene, probabilmente, parte della responsabilità di tale sentire comune è addebitabile alla sentenza emessa in seguito ad una famosa vicenda in tema di concorrenza sleale del 1962, che vedeva coinvolte due grandi aziende alimentari come Motta e Alemagna.

Una sorta di “certificato” allegato alla confezione del panettone Alemagna riportava presunte valutazioni sul prodotto, effettuate da un presunto analista.
In realtà, il prodotto non era mai stato sottoposto ad alcun esame, non possedeva le qualità millantate e le dichiarazioni riportate erano frutto di una mera invenzione: questa circostanza veniva fatta presente nel ricorso proposto da Motta e individuato come comportamento scorretto e contrario ai principi dell’etica concorrenziale.

Ma il Giudice non condivise, allora, le affermazioni dell’azienda ricorrente, ritenendo che quelle riportate sulla confezione fossero semplici “vanterie”, che costituivano solo una “trovata pubblicitaria”(Cass. n.752/1962).
Una decisione che fece scalpore proprio perché -si ritenne- sottovalutasse l’importanza del messaggio promozionale e dei suoi contenuti.

Successivamente, l’istituzione della figura del giurì e l’adozione di un Codice di autodisciplina della pubblicità, hanno fatto in modo che molti dei comportamenti considerati fino a quel momento come inoffensivi e irrilevanti da un punto di vista del giudizio di liceità, fossero riveduti e corretti e, soprattutto, valutati in riferimento al momento storico e al contesto sociale ed economico nel quale vengono diffusi.

Il diritto d’autore nel mondo della moda: Fendi c/ Zara

Alla fine dello scorso decennio, il Tribunale di Milano si è occupato del ricorso avanzato dalla casa di moda Fendi contro la nota catena di abbigliamento Zara, allora in piena fase di espansione mondiale.
L’azione giudiziaria era stata preceduta da una serie di diffide da parte di Fendi riguardanti l’utilizzo, da parte di Zara, di due immagini di modelli della sfilata relativa alla collezione Fendi Primavera/Estate 2014, riprodotte su una serie di canotte a marchio Zara, distribuite in tutti i punti vendita fisici della resistente e anche nel suo negozio online.

In questo caso, il Giudice ha ritenuto fondate le ragioni della casa di moda, rilevando nel comportamento di Zara un illecito concorrenziale che, partendo dalla violazione dei diritti d’autore, provocava sviamento della clientela, in quanto generava nei consumatori quella che, con un termine commerciale di carattere contemporaneo viene chiamata “post sale confusion”.

In seguito a queste considerazioni, il Tribunale ha inibito a Zara di proseguire a commercializzare i capi che riproducevano le immagini oggetto di violazione, ordinando altresì il sequestro degli esemplari ancora in commercio (Trib. Milano, sent. n. 32645/2014).

Come difendersi dalla concorrenza sleale: l’utilità di rivolgersi a un’agenzia investigativa

In via del tutto intuitiva, la concorrenza sleale e lo sviamento della clientela sono due delle fattispecie illecite che possono compromettere seriamente l’attività di un’azienda e portare anche all’estrema conseguenza della sua chiusura.
Contrastare comportamenti dannosi di questa portata non solo è necessario, ma è anche un compito da realizzare immediatamente, non appena se ne abbia il minimo sospetto.

Una strategia mirata partirà dal porre in essere una serie di attività in via preventiva o riparatoria, da svolgere con l’ausilio di abilità specifiche in campo tecnico-legale e di un’agenzia investigativa di riconosciuta competenza nell’ambito delle indagini societarie e commerciali.
Un professionista del settore, infatti, avrà gli strumenti più adatti per raccogliere prove con le quali si dimostri l’esistenza dell’illecito e sulle quali basare le richieste di tutela.

La nostra agenzia Luciano Ponzi Investigazioni, fin dal 1995 tratta i casi di concorrenza sleale e sviamento della clientela con professionalità ed esperienza consolidata, attraverso modalità che si basano sulla profonda conoscenza delle norme di diritto civile e commerciale e con l’efficienza e la serietà che da sempre la contraddistinguono.

Se temete o avete la certezza che la vostra azienda sia vittima di un atto di concorrenza sleale o di sviamento della clientela, contattateci compilando il modulo presente qui di fianco: verrete orientati verso il servizio investigativo più idoneo al caso concreto e riceverete un preventivo personalizzato e gratuito.

 

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